martedì 21 giugno 2011

GIULIANA (un punto di dolce, un punto di amaro)



Una vecchia canzone napoletana dice “Cu chiste modi, Brigida, tazza 'e cafè parite: sotto tenite 'o zucchero, acopp' amara site...”.
Giuliana era così: amara, per chi la conoscesse superficialmente, ma con un gran cuore e teneri sentimenti dentro la dura corteccia di cui si era rivestita.
L'aveva conosciuta all'Università. Giuliana era un vero genio della matematica: aveva superato i quattro esami previsti dal piano di studi (due al primo anno e due al secondo) al primo tentativo e con il massimo lunghi o dei voti.
Aveva lunghi capelli corvini che portava sciolti e le cadevano sulle spalle come una cascata di riflessi blu cupo. Non era una bellezza, però. E, per giunta, il suo carattere scontroso rendeva difficili anche le normali relazioni di compagnerismo tra colleghi.
Genio della matematica, le risultava però odiosa la chimica, ed in particolare la stechiometria, quella branca della chimica che permette di calcolare che quantità di A può reagire con che quantità di B e che quantità di C e D risulterà dalla reazione.
Stava perfino per cambiare di facoltà. Lo confessò una volta che, inseme ad altri colleghi, stavano, come sempre tra una lezione l'altra, prendendo un caffè nel bar di via Mezzocannone giusto difronte all'Istituto Chimico.
Un giorno, lui, che adorava la chimica fin da ragazzino, le fece una proposta:
“Vorresti studiare insieme con me? Se tu mi aiuti con la matematica, io ti aiuto con la chimica.”
Giuliana accettò, e così lui conobbe l'altra faccia della scontrosa e bruttina Giuliana...
Comprese che la sua bruschezza e difficoltà ad aprirsi, ad inserirsi, era solo il risultato di una estrema timidezza. In realtà era una ragazza dolce, di gran cuore, ed una voglia matta di vivere.
Lui, dal canto suo, riuscì a farle capre che un “ponte a idrogeno” no era come “Il Ponte sul fiume Kwai” (o, come meglio si addiceva alla situazione, “Il Ponticello sul Fiume dei Guai” di Jerry Lewis) ma un legame debole ed instabile che un idrogeno di una molecola formava con l'ossigeno di un'altra, e lei riuscì a fargli capire come e perché il discriminante di un'equazione di secondo grado permetteva sapere se la conica corrispondente era una parabola, un'iperbole o un'ellisse.
Giuliana finì per cambiare facoltà per Ingegneria Elettronica dove, accademicamente, continuarono i suoi trionfi. Però la solida amicizia con lui era rimasta e sarebbe durato molti anni.
“Perché avevi scelto chimica, allora?” le chiese.
“In vista delle possibilità di lavoro. Questa è l'era della chimica: Giulio Natta premio Nobel, moplen, nylon e polistirolo dovunque...”
“E perché allora no Ingegneria Chimica?”
“Me lo hanno sconsigliato: troppo dura, dicono.”
“Ingegneria Elettronica, allora: il domani sarà l'era dei computers?”
“Proprio per questo!”
“Il domani...per ora stanno ancora balbettando. E in più questa storia dell'1-0-1-0 non mi convince...E poi, per saper far funzionare un computer non è necessario saperlo progettare e costruire. Tu guidi l'automobile, magari sei anche un'esperta. Ma sapresti progettarla? È necessario, per poterla guidare?” Secondo lui, il ragionamento non faceva una grinza. E, inevitabilmente, pensò al compagno cervellone della sua classe del liceo che si stava rompendo la testa con l'Ingegneria Elettronica.
La rivide molti anni dopo, come selezionatrice in una intervista di lavoro.
“Che ci fai tu qui, in un'industria chimica?”
“Ecco, vedi: ufficialmente, mi occupo della manutenzione della rete interna di computer dell'azienda, ma, giacché la mole di lavoro non è eccessiva, e ho qualche anno di insegnamento alle spalle, hanno scelto me per intervistare i candidati.”
“Sii clemente con me, in nome della vecchia amicizia!” scherzò lui.
“Sarò inflessibile come il più severo dei giudici, in nome della vecchia amicizia, appunto” rise lei.
“Che ne diresti di una cena, per celebrare la vecchia amicizia?” le chiese al termine dell'intervista.
“Voi corrompermi, vero? Ma il mio giudizio l'ho già formato: non si il candidato che cerchiamo, cena o non cena” rise lei.
“Ma se sono perfetto per il posto! E poi, vuoi mettere? Uno che è stato tuo alunno, e non certo dei peggiori a giudicare dai risultati ottenuti...”
“Fai l'errore di sempre: senza UNA BUONA INSEGNANTE non ci sono buoni alunni!”
“Presuntuosa!... Ma forse hai ragione: 'pontes hydrogeni docent', per non parlare delle reazioni nucleofile o elettrofile...”
“Mi hai convinta. Ci vediamo sabato sera?”
“Perfetto, alle otto”
“OK, alle otto di sabato sera. “
“Ci conto!”
Era cambiata, pensò. Aveva perso la timidezza, la bruschezza di quando era una ragazzina scontrosa ed antipaticuccia. Forse era un'impressione sua, ma con l'età, con i suoi trentacinque già suonati, era diventata anche bella: i neri capelli riuniti in uno chignon dietro la testa, l'abito elegante e le forme piene dell'età matura...non era più la Giuliana che ricordava, e la “nuova lei” non faceva rimpiangere la “vecchia”...
Si era sposata? La facilità con cui aveva accettato il suo invito a cena faceva pensare di no: una donna sposata, magari con qualche figlio, non va a cena fuori sola, foss'anche con un amico di tanti anni fa e non più rivisto... Ma erano solo congetture, e non le avrebbe chiesto niente, per non metterla in imbarazzo: se voleva, glielo avrebbe detto lei spontaneamente.
Il sabato mattina Giuliana gli telefonò.
“Caro amico, ti sei giocato il posto.”
“Come? Perché?” chiese sbalordito.
“ Come 'come'!- rispose lei ridendo - non si può dare un posto di responsabilità ad un candidato che ti invita a cena e non ti chiede il numero di telefono né dove abiti per venirti a prendere o, per lo meno, dove ci si deve incontrare? Io ti ho potuto rintracciare solo perché ho i tuoi dati, compreso il telefono di contatto, sul tuo curriculum, se no, addio cena!.”
“Che stupido, Dio mio, hai ragione! Bene, allora, ti vengo a prendere alle otto a...”
Lei gli dette l'indirizzo, gli spiegò come arrivarci, ed alle otto, puntuale come un cronometro svizzero, lui era davanti al portone di lei.
Era elegantissima: un vestito nero senza maniche, incrociato sul davanti e fermato in vita con una sottile cintura di coccodrillo pure nera, con una broche con uno smeraldo sulla spallina di sinistra e un sottile laccio piatto di oro al collo. I capelli, sciolti sulle spalle, scendevano con due soavi onde ai due lati del viso. Trucco appena percettibile e i suoi due splendidi e ridenti occhi neri...
“Hai qualche preferenza sul posto?” chiese lui.
“No, scegli tu.”
“Non ho prenotato, perché volevo assecondare i tuoi gusti. Nouvelle cuisine o cucina tradizionale, o cinese. Carne o pesce...decidi tu.”
“E se invece del tipo di cucina scegliessimo in base al posto?”
“Be'. Allora. Co sarebbe Totonno 'o zuzzuso a Forcella...
“Ahahahah!...Non ne conosci qualcuno più sordido?”
“Allora, andiamo a 'La Bersagliera,. Lo conosci? Sta in via Partenope, davanti a Castel dell'Ovo.”
“Si, ci sono stata. Si mangia bene, e la vista è stupenda!”
Lasciarono la macchina in una delle traverse, e raggiunsero il ristorante a piedi.
Lasagna, cotolette alla milanese, un buon Gragnano rosso d'annata...
“Tipica cena napoletana sulle rive del golfo... “ commentò Giuliana, sarcastica. Però mangiò di gusto: la cucina era ottima ed il vino molto buono.
Alla loro sinistra, nella lontananza, la nera mole doppia del Vesuvio e del Monte Somma spiccava nel blu del cielo notturno. Sulle pendici del Vesuvio brillavano le luci della funivia che porta al cratere.
“Vedi le luci della funivia del Vesuvio? Mia madre diceva che sembrano una spilla di diamanti.”
Andarono poi in macchina a prendere un gelato al Gambrinus, storico locale con i tavolini ai margini di piazza Trieste e Trento, alla vista del Palazzo Reale.
“Sai l'atroce battuta che si raccontava un tempo sul Gambrinus?
“No. Qual'è?”
“Un padre dice alla turba dei suoi marmocchi: 'Fate i bravi, che papà vi porta a vedere come i signori mangiano il gelato al Gambrinus'...”
“Meno male che son finiti quei tempi!”
“Sì, però il Gambrinus continua ad essere un locale di alto standing, oltre che di secolare tradizione!”
Approfittarono di tenere la macchina ben parcheggiata per fare due passi: passarono davanti al Teatro San Carlo poi, costeggiando i giardini della Biblioteca Nazionale, raggiunsero via Cesario Console, Piazza Plebiscito, tra Palazzo Reale e San Francesco di Paola, e di nuovo a piazza Trieste e Trento.
Chiacchierarono amabilmente del più e del meno, godendo il tepore della notte napoletana, dimenticati i pensieri, i problemi, il trantran quotidiano del lavoro, felici di aver ritrovato un'amicizia di gioventù, perduta per tanti anni. Ricordarono compagni di studi, anche loro persi di vista, i professori, le aule che avevano condiviso tanti anni addietro, il batticuore degli esami, il sollievo di aver finalmente terminato gli studi quando si laurearono, la soddisfazione della laurea conseguita, ma anche le festicciole tra amici e colleghi, quando si ballava guancia a guancia al suono della voce di Peppino di Capri, Gino Paoli o Mina (“Quando sei qui con me, questa stanza non ha più pareti...”).
Ed alla fine, ripresa la macchina, lui la riaccompagnò a casa.
“Grazie per la stupenda serata!” disse Giuliana con convinzione.
“Grazie a te per la buona compagnia!”
Sarà stata la cena, sarà stata la vecchia amicizia, ma ebbe il posto...

lunedì 20 giugno 2011

ANNAMARIA (sogno di una notte di mezz'estate)



Si trovava in quel limbo dorato (o nero inferno, secondo i punti di vista) quando non si è più bambini ma ancora non si è adulti. Per lui, che andava a colazione con Cyrano de Bergerac, pranzava con D'Artagnan e Costanza Bonacieux e si addormentava sognando Dante e Beatrice, l'amore era qualcosa di etereo, ideale, dolcissimo, ma senza nessun risvolto sessuale. Anche se, ballando un “lento” stretti stretti con una ragazza certe cose strane che succedevano dentro i suoi pantaloni gli lasciavano capire che la pubertà era già arrivata, l'idea di fare sesso con la ragazza che amava la ripudiava, gli sembrava inconcepibile.
In quel periodo, Walter, Giulio e lui, compagni di classe, formavamo un trio di inseparabili: avevano perfino costituito una specie di associazione esclusiva che avevano chiamato “Se no i xe mati no li volemos”. Walter abitava in un palazzo a fianco della chiesa di Santa Maria la Nova, in pieno centro di Napoli. Nel palazzo di fronte, viveva Anna Maria, una bellissima ragazza bionda, di un paio d'anni maggiore di loro tre.
Annamaria era bionda, ed a lui piacevano le ragazze bionde con gli occhi azzurri (anche se, naturalmente, avrebbe poi sposato una brunetta dai grandi, brillanti occhioni neri...).
Per lui, Annamaria era la “signorinella pallida, dolce dirimpettaia del terzo piano” della vecchia canzone. La vedeva spesso affacciata al balcone e se ne era innamorato. Un amore adolescente, romantico che, lo sapeva bene, non sarebbe mai andato più in là di un sogno dorato, un sogno irraggiungibile, anche perché aveva un paio d'anni più di loro tre.
“Hai letto 'L'amante di Lady Chatterly'?", gli chiese un giorno Walter.
“Sì, l'ho letto” rispose. Lo aveva letto ma, nel suo foro interno era arrivato alla ferma conclusione che quello non era amore: era pura passione animalesca. Per lui l'amore, quello vero, trascendeva il sesso. L'amore, quello con la A maiuscola, avrebbe dovuto somigliare piuttosto all'Amor Cortese del XII secolo, quello di Dante per Beatrice, per esempio...
Annamaria aveva un fratello più giovane, Pino, loro coetaneo. Non era un amico vero e proprio, ma un conoscente con cui si scambiavano quattro parole quando per caso lo si incontrava per strada.
“Senti -disse un giorno al suo amico Walter- tu che hai una casa grande che si presta, perché non organizzi un balletto ed inviti Pino? E digli che porti con sé la sorella...”
Una balletto: cosa molto comune in quei tempi, era una riunione di amici ed amiche che, riuniti intorno ad un tavolo con vassoi di tartine e bottiglie di Cocacola, ballavano al suono di un giradischi.
Però Annamaria non andò, con suo gran rammarico...
La rincontrò per caso, molti anni dopo, ad una festa di laurea di un amico comune.
“Annamaria?” la chiamò quasi con un fil di voce, mentre il cuore gli balzava nel petto.
Lo guardò con sorpresa.
“Sì, e tu...aspetta, tu sei l'amico di Pino che abitava a Santa Maria la Nova! Quanto tempo!”
“Sì, tanto tempo...”
“Che fai di bello?”
“Sto preparando la tesi, spero di laurearmi in Chimica Industriale quest'anno.”
“Pino ha già finito.”
“Sì, il vantaggio di scegliere un corso di laurea di quattro anni...E tu?”
“Finito qualche anno fa. Ora insegno lettere al Gian Battista Vico.”
“Sposata?”
“E divorziata. E tu?”
“Single, ancora inseguendo un sogno lontano, una 'dolce dirimpettaia del quinto piano'...”
“A volte i sogni si avverano!”
“Hai la macchina? - le chiese - Se vuoi ti riaccompagno a casa...”
“Grazie, accetto volentieri: sono venuta con Pino, ma vedo che non sembra aver intenzione di andarsene, almeno per il momento.”
Al lasciarla sotto il vecchio portone di Santa Maria la Nova si scambiarono i numeri di telefono.
Quella notte non riuscì a dormire. Incredibile, pensava, Annamaria! L'aveva ritrovata e, per la prima volta aveva parlato con lei...E si ricordava di lui!
Sorridente, dolce, come sempre l'aveva immaginata...
Era stata realtà, o solo un sogno di mezz'estate?
La domenica seguente la chiamò al telefono.
“Ti andrebbe una passeggiata sul Vesuvio?”
“Sìii, una buona idea!”
“Conosco un ristorantino sulle falde del vulcano, dove fanno degli spaghetti con frutti di mare che chiamano 'a fine 'o munno' e che meritano il nome che gli hanno dato. Potremmo cenare lì.”
“D'accordo, allora, a fare una buona cenetta!”
“Passo a prenderti alle otto, va bene?”
“D'accordo.”
Fu una passeggiata stupenda: la strada tutte curve che si inerpicava fra massi di nera lava e migliaia di gialle ginestre in piena fioritura, in basso, il mare blu di Napoli e la città che si stendeva ai loro piedi. Quando arrivarono al ristorante, il sole stava tramontando dietro Procida e si cominciavano ad accendere le mille luci della città.
Aveva messo una cassetta di Santo and Jhonny nel mangianastri della macchia, e la musica quasi in sordina della cetra e della chitarra creava un'atmosfera rilassata e romantica allo stesso tempo.
Scelsero una tavola sulla terrazza del ristorante. Sotto di loro, si stendeva tutto il golfo.
“È sempre uno spettacolo fantastico - commentò Annamaria - e, anche se lo hai visto migliaia di volte, sempre ti affascina come la prima volta...”
Cenarono con appetito, e l'ottimo Capri Scala bianco fu il complemento ideale per quella cenetta di mare.
“Dobbiamo ripetere...”
“Quando vuoi!”
“Domani sera?” rise lei.
“E perché no? Domani sera, dopodomani sera, tutte le sere...”
Un caffè, una sigaretta e poi di ritorno a casa.
Napoli è una città insonne, e anche di notte il traffico non dà tregua. Però a quell'ora era quasi accettabile. Per lo meno, non si sentivano clacson strombazzando petulanti come di giorno.
Il venerdì seguente, le telefonò un'altra volta.
“Che ti sembra l'idea di un week-end ad Amalfi?”
“Che sarebbe stupendo!”
“Allora è fatto: ti vengo a prendere sabato mattina. A che ora puoi stare pronta?”
“Se partiamo presto, ci rimane più tempo per vedere la città e magari andare sulla spiaggia e fare un bagno. Col caldo che sta facendo, sarebbe piacevole!”
“D'accordo, allora. Sarò lì alle otto, così faremo il viaggio col fresco della mattina:”
“D'accordo, alle otto di sabato!”
Arrivarono ad Amalfi a metà mattinata. Fatto un rapido bagno nelle azzurre acque della placida baia, si sdraiarono al sole.
Parlarono di cento cose sena importanza: lei gli raccontò aneddoti del suo lavoro di insegnante in una classe molto poco disciplinata, lui le parlò del romanzo che stava scrivendo e della ricerca di un possibile editore. Deliberatamente evitò di fare domande sul matrimonio e successivo divorzio di lei. Era un tema molto personale, molto delicato. Se lei voleva parlarne, se e quando fosse lei a toccare quel tema, la avrebbe ascoltato. Non gli importava il passato, voleva solo vivere quel sogno fatto realtà, godere il momento, sentirla vicino, ascoltare la sua voce... per la prima volta così vicini, così in contatto...
Pranzarono in un ristorante sulla riva del mare. Dopo pranzo, visita obbligata alla Cattedrale: l'ampia e lunghissima scalinata che conduceva all'entrata trifora con archi a tutto sesto, fiancheggiata dai due lati da tre finestroni anch'essi a ad arco, le cui vetrate erano un ricamo di colonnine sottili ed archi dentro gli archi, in una fuga continua verso il cielo, contrastava con il corpo massiccio della chiesa, con il tetto a tre spioventi, ed il corpo centrale ancora una volta abbellito da una fuga di stretti finti archi. All'interno, una fuga di pilastri decorati di oro e nero conduceva all'altare della navata centrale, preziosi affreschi sull'abside ed un enorme quadro del Cristo Risorto, incorniciato da due serie di tre esili colonne.
“Non ero mai stata dentro! È stupendo!”
“Nemmeno io l'avevo mai vista dentro! È incredibilmente ricca e bella...”
“Se ci rifletti, non è strano: Amalfi era una delle quattro Repubbliche Marinare i cui stemmi formano lo scudo del nostro tricolore.”
“Non conosco Pisa e Venezia, però sì Genova, e ti assicuro che la cattedrale di Genova non regge assolutamente al paragone con questa di Amalfi”
“Ahahaha! I Genovesi! Tirchi fin dal medioevo!”
Dopo la visita obbligata, l'altrettanto obbligato shopping. Ah, le donne...pensò lui. Però, se non fossero così, che noioso sarebbe il mondo! Amalfi è nota per la sua maiolica. Nelle vetrine piatti, tazze e brocche di vivi colori, sottovasi con decorazioni in ocra ed azzurro, e, in una vetrina, perfino un gran quadro formato da nove file per nove colonne di piastrelle che raffigurava una scena di vendemmia...
“Meno male che lo shopping è stato solo un window-shopping, sennò avremmo dovuto affittare un camioncino!”
“Ahahaha! Sarcastico, tu! Ma devi ammettere che abbiamo visto piccole opere d'arte.”
“Alla fine, non hai comprato niente...”
“In realtà non ho visto niente che potessi immaginare in casa mia. Me nemmeno tu hai comprato niente!”
“Io sono il maschietto, che compra solo quello di cui ha urgente bisogno. La femminuccia, che molte volte compra solo per il gusto di comprare, sei tu!”
Gli sorrise, e lui sentì che quella giornata sarebbe stata per lui indimenticabile. Era possibile, si domandava, che dopo tanti anni senza vederla, senza sapere più niente di lei, fosse ancora così innamorato? O era solo un inconscio tentativo di tornare a quei felici anni dell'adolescenza che erano svaniti irrimediabilmente e per sempre?
Cenarono in un ristorantino, Bistrot ***, mangiarono con gusto piatti tipici amalfitani, un'ottima pasta fatta a mano, gli Scialatielli, con prezzemolo tritato, pepe e formaggio grana e condita con sugo di pomodorini freschi e vongole veraci, una entrecôte alta due dita alla griglia, innaffiata da un buon Ischia rosso DOC, poi profiteroles con crema al limone (lo Sfusato Amalfitano).
Andarono a sedersi sulla sabbia in riva al mare. Stava sorgendo la luna, una luna piena e brillante che inondava il mare di riflessi di argento fuso. Lo sciacquio delle piccole onde sulle rive cantava una immemore canzone che parlava di terre lontane. Una soave brezza portava il profumo dei limoneti (i famosi limoni di Amalfi).
Timidamente, timoroso di una reazione indignata di lei, le passò un braccio intorno alle spalle. Invece, lei gli passò un braccio intorno alla vita. Restarono così, teneramente abbracciati, per quella che a lui sembrò un'eternità, in un silenzio complice, presi dalla bellezza che li circondava.
Era molto dippiù di quello che lui aveva mai sognato, in tutti quegli anni in cui, anche senza vederla, la aveva tenuta sempre nel cuore...
Si fusero in un lungo bacio. Le fresche e dolci labbra di lei sulle ardenti e secche di lui. L'emozione gli faceva scoppiare il cuore nel petto.
Tornarono all'albergo. Avevano preso due stanze contigue, ma una delle due rimase vuota...

sabato 18 giugno 2011

LUCIANA (Una gita a Napoli)



Spense il pc, andò in cucina e bevve la ventesima tazza di caffè da quando era sveglio, accese l'ennesima sigaretta e si affacciò sul terrazzino che dava sulla baia.
Aveva scritto la parola FINE al suo primo romanzo.
Scrivere era sempre stata la sua passione, ma aveva smesso quando, sposatosi, il trantran della vita quotidiana, lavoro, famiglia, figli, avevano come rinsecchito la sua vena.
Ma ora, con i figli ormai adulti e sistemati, il lavoro avendo dato passo alla pensione, il matrimonio rotto, dopo quasi quarant'anni, per il logorio di una vita troppe volte molto difficile, aveva ritrovato il piacere della scrittura.
Aveva dormito male: una cena un po' pesante con alcuni amici, forse qualche bicchiere di troppo...
Decise di uscire a fare due passi. Il sole di giugno scottava, ma una fresca brezza lo accarezzava, rendendo il calore più sopportabile. Aveva notato come queste passeggiate sulla riva del mare erano fonte di idee, per cui portava sempre con sé un taccuino ed una biro, per buttare giù le idee che poi avrebbe pulito e messe “in bella” sul pc.
Aveva scritto “amici”? Errore: persone conosciute per caso o per lavoro, di cui non sapeva niente e che di lui non conoscevano se non il presente...Gli amici, quelli veri, sono quelli che hai conosciuto sui banchi di scuola. Amici che sanno tutto di te come tu sai tutto di loro, con i quali si può parlare tanto della biondina a cui vorresti fare la corte ma che nemmeno sa che esisti, come della teoria dell'evoluzione e la religione., ma MAI di politica!
Amici sono quelli con cui te ne vai, munito di una tenda da spiaggia, a fare un campeggio al Lago Laceno, a oltre i mille metri sul livello del mare, dove non riuscite a dormire la notte per il freddo, fino a che non coprite il “pavimento” della tenda con uno strato abbondante di paglia.
Poi ti sposi, si sposano...e li perdi. Tu emigri, loro lasciano la città natale. E quando, anni dopo, cerchi di rintracciarli, sono svaniti nel nulla...
Era appena rientrato quando squillò il telefono.
“Ciao, come stai?” lo salutò la voce argentina di Luciana.
“Luciana! Già tornata? Ti facevo ancora a Roma...”
“Sono rientrata prima, avevo nostalgia del tuo mare...”
“Ed io nostalgia di te...Ma dimmi, com'è andato il congresso”
“Ti dirò. Il Professor Scicluna ha fatto un'ottima dissertazione sui templi megalitici di Malta, con grande scialo di diapositive di Tarxien, Gar Dalam e Mnaidra, dell'ipogeo di Hal Saflini e le “veneri” opulente. Però, niente di nuovo. Tutto quello che riguarda i costruttori, chi erano, da dove venivano, perché scomparvero senza lasciare altra traccia che i megaliti è ancora avvolto nel più oscuro misteri. Solo sanno dire che i megaliti sono anteriori alle stesse piramidi egizie...”
“Ti va di fare una passeggiata o sei stanca del viaggio?”
“Non sono assolutamente stanca, ieri ho pernottato a Roma e mi sono ripresa...”
“Passo a prenderti fra mezz'ora, ve bene?”
“No, vengo io. Il “tuo” mare è molto più bello di questa spiaggia piatta di Las Palmas.”
“Ti aspetto, allora, Ciao!”
Arrivò, splendida nei suoi quarant'anni, con un paio di pantaloncini bianche ed una t-shirt turchese, calzata con un paio di infradito che evidenziavano la perfezione dei suoi piedini, le affusolate e lunghe gambe delle quali una leggera tintarella evidenziava la perfezione, i riccioli biondi, corti, le incorniciavano un viso di porcellana con due vivissimi occhi marrone ed un sorriso di perle.
Si erano seduti sul terrazzino che dava sulla baia, lei con un gin con tonica e tanto ghiaccio, lui con una coppa di vecchio Napoleon.
“Raccontami di Roma. Non penso che le sedute del congresso siano durate ventiquattro ore al giorno...”
“No di certo! E non mi sarei mai lasciata scappare l'occasione di visitarla! È veramente una città stupenda! Ancora e sempre caput mundi ! E poi, voi italiani siete meravigliosi!”
Si erano conosciuti per Internet su una pagina di un social network, poi l'amicizia virtuale si era trasformata in reale, grazie al fatto che entrambi vivevano in quello stupendo fazzoletto di terra in mezzo all'Atlantico che è l'isola di Gran Canaria. Luciana archeologa di professione, specialista in civilizzazioni preromane del Mediterraneo, lui appassionato amateur di archeologia, avevano trovato una ragione, un affinità culturale che aveva trapassato i limiti dell'amicizia virtuale per trasformarsi in un solida amicizia reale. Aveva trasferito su di lei tutto l'affetto che provava per la sua figlia reale, unica dopo cinque maschi, che, anni prima, aveva rotto tutti i contatti senza alcuna ragione che gli fosse dato intendere (“Dobbiamo parlare”, gli aveva scritto qualche anno addietro in risposta ad un suo e-mail col quale lamentava il silenzio ed il gelo che si era stabilito fra loro due ma non avano mai parlato...).
“Sei mai stata a Napoli?” le domandò.
“No...”
“Allora ti faccio una proposta. Quando prendi le ferie?”
“A giugno”
“Se vuoi, ti porto a Napoli per un paio di giorni. Ti va l'idea?”
Luciana accettò l'idea, ed ai primi di giugno partirono. Presero un volo diretto da Las Palmas ed arrivarono nella tarda mattinata all'aeroporto di Napoli Capodichino, dove affittarono una macchina.
Per il Corso Lucci arrivarono a piazza Garibaldi, completamente intasata di auto con centinaia di clacson che strombazzavano contemporaneamente a più non posso.
“Che chiasso infernale!” commentò Luciana.
“ Che ci vuoi fare? Nella mente del napoletano esiste la strana convinzione che, suonando il clacson, la macchina che sta davanti a lui si muova...”
Poi il Rettifilo, per via Depretis arrivarono alla fine a piazza Municipio, difronte alla mole grigia del castello del Maschio Angioino. Parcheggiarono la macchina e si avviarono a piedi verso il castello.
“Che te ne pare, fin qui?” le chiese.
“Uhm...non è che abbia visto molto...però, fin qui, bene, mi piace.”
Per fortuna, quel giorno il Maschio Angioino era aperto ai visitanti, sicché, varcato il portale marmoreo aragonese, poterono vedere la famosa Sala dei Baroni, dove il papa Celestino V fece “il gran rifiuto” ed il successivo conclave elesse il famoso Bonifazio VIII., ed ammirare le sottili nervature di pietra che sostengono la enorme cupola.
“Qui si respira la storia!” mormorò Luciana.
“Sì, troppo spesso noi napoletani ci dimentichiamo chi siamo stati...”
Pranzarono in un buon ristorante non lontano, in via Santa Brigida, e poi, ripresa la macchina, senza mai lasciare il lungo mare, per via Nazario Sauro, poi via Partenope, poi per via Caracciolo fino al porticciolo di Margellina e la Villa Comunale. Al passare all'altezza del Castel dell'Ovo, come lanciato in mezzo all'azzurro del del mare su di una lingua di terra, lui le domandò:
“Sai cos'è quella massa di tufo giallastro che sembra navigare verso orizzonti lontani? È il Castel dell'Ovo, anteriore al Maschio Angioino, dove visse la regina Giovanna I.”
“Perché si chiama così?”
“Il nome deriva da un'antica leggenda secondo la quale un mago nascose nelle segrete dell'edificio un uovo che mantenesse in piedi l'intera fortezza. La sua rottura avrebbe provocato non solo il crollo del catello, ma anche una serie di rovinose catastrofi alla città di Napoli.”
Si era fatta sera, e, ad una ad una, si stavano accendendo le luci.
“Che te ne sembra se ceniamo qualcosa?” domandò Luciana.
“Che te ne sembra se ci facciamo una pizza?” rispose lui.
“Siiii! Adoro la pizza!”
“La migliore è quella della Pizzeria Trianon. Così vedrai un'altra faccia di Napoli, quella che non si vede sulle cartoline postali, ma che è altrettanto e forse più Napoli di quella dei dépliant turistici.”
Il quartiere di Forcella, il quartiere popolare del contrabbando di sigarette, delle cento bancarelle che vendono di tutto, dove il brulichio di persone affaccendate in centomila cose diverse non si ferma neanche la notte, si stende tra la via Duomo e la via Pietro Colletta, dove si trovava, appunto
la famosa pizzeria Trianon.
Ordinarono due pizze Margherita.
“E da bere?” chiese il cameriere.
“Scegli tu il vino” gli disse Luciana “io non saprei quale scegliere...”
“Mia cara, qui non c'è da scegliere un vino: sulla pizza si beve birra!”
“Ed allora, birra sia!”
Ordinarono due birre ed aspettarono che gli servissero le due “margherite”.
“Sai perché la pizza che abbiamo ordinato si chiama pizza margherita?”
“No, perché?”
“Perché, quando l'allora re d'Italia Umberto I venne in visita a Napoli un pizzaiolo napoletano inventò questa pizza con i tre colori: il rosso del pomodoro, il bianco della mozzarella, ed il verde del basilico, e la dedicò alla regina Mrgherita, moglie, appunto di Umberto I”
“Che romantico!”
“Vedi, il napoletano, intimamente, nel più profondo dei suoi sentimenti, è fondamentalmente monarchico...Chiamalo romanticismo, chiamalo ignoranza politica, chiamalo essere sognatore, o che nei geni si tramanda ancora il vecchio, grande Regno delle due Sicilie, ma è così.”
“E, dopo centocinquanta anni di unità, c'è ancora questo feeling con i Borboni?
“Si perché questi centocinquanta anni sono stati anni di abbandono, di degrado. Ma su, non parliamo di cose tristi, godiamoci queste squisite margherite (questo sì, con m minuscola) che stanno arrivando! Bon apetit!”
La mattina dopo, tornarono al centro. In piazza Trieste e Trento lui le mostrò la fontana del centro della piazza.
“Vedi quella scultura in bronzo dalla quale esce il getto d'acqua? La chiamano spregiativamente il carciofo. Ai napoletani non piacque: la definirono un obbrobrio, una porcheria, e chi ne ha più ne metta. La fontana fu letteralmente regalata alla città dall'allora sindaco Achille Lauro, che pagò la costruzione con soldi della propria tasca. M ai napoletani non piacque.”
“Sbaglio, o da voi si dice che a caval donato non si guarda in bocca?”
“Si, ma il malcontento fu fomentato dall'opposizione. Non ostante questo, Lauro fu eletto sindaco per due mandati, poi parlamentare alla Camera con la più alta quantità di preferenze della storia della repubblica: quasi settecentomila!”
In piazza Plebiscito, Luciana ammirò il colonnato della chiesa di San Francesco di Paola, che copiava, a scala ridotta, quella della Basilica di san Pietro a Roma, e si soffermò davanti alle sei statue a grandezza naturale nelle nicchie della facciata del Palazzo Reale, tre per ogni lato del cancello d'ingresso.
“Chi sono questi personaggi?”
“Sono i re delle diverse dinastie che si sono succedute sul trono di Napoli, dal più antico, Ruggero il Normanno, fino al più recente, Vittorio Emanuele II di Savoia, passando per Federico II di Svevia (che Dante chiama “il vento fresco di Soave”), Carlo D'Angiò (quello che fece costruire il castello che abbiamo visitato e che da lui prende il nome), Carlo V d'Asburgo, Carlo III di Borbone, il “re buono”, a cui si devono grandi opere di beneficenza come l'Albergo dei poveri, poi Gioacchino Murat, che in realtà fu solo Viceré, governando in nome del cognato Napoleone Bonaparte”.
“Quanti secoli! Sono stupita, non lo sapevo!”
“Già. Siamo più vecchi di voi...Il Regno di Spagna nasce al finale del secolo XV, mentre quello di Napoli agli inizi del XIII! Quasi tre secoli prima!”
“Via, non vorrai litigare per ragioni di storia, no?”
“Io, litigare con te? Macché! Era solo una battuta...Ma ora ti porto a pranzare...”
Pranzarono nel ristorante più antico e famoso di Napoli, in riva al mare, giusto di fronte al Castel dell'Ovo: antipasto di mare, spaghetti a vongole, frittura di pesce, innaffiando il tutto con un ottimo Epomeo bianco.
“Che te ne è sembrato?”
“Be', anche noi in Canaria abbiamo ristoranti dove si può mangiare del buon pesce, ma devo ammettere che il pesce del Mediterraneo ha più sapore di quello dell'Atlantico. Ed il vino veramente ottimo.”
Il giorno seguente furono a Sorrento e poi ad Amalfi, percorrendo la statale 163.
“Questa strada tutte curve mi ricorda la strada che, da Maspalomas porta a Puerto di Mogàn.” commentò Luciana. Lui ridacchiò:
“Solo per l'interminabile serie di curve, però qui si viaggia in mezzo al verde, alberi alti e frondosi ad entrambi i lati. In Canaria, solo brulle colline di lave brune...”
A Sorrento Luciana comprò un chilo delle magnifiche arance sorrentine, ed alcune piccole gioie di corallo rosso ed altre di corallo bianco, produzione tipica della penisola.
“Questo in Canaria non lo avete!” commentò lui sornione.
Si soffermarono a guardare la statua di Torquato Tasso
“Guarda, l'autore della 'Gerusalemme Liberata'...Era di qui?”
“Sorrentino puro sangue!”
Quella sera cenarono in albergo. Era la loro ultima notte a Napoli.
“In camera mia c'è un minibar...” disse Luciana, “se vuoi, brindiamo insieme alla nostra avventura napoletana...”
Era un invito? Lui dovette ammettere che Luciana gli era sempre piaciuta, ma sempre si era frenato dal fare qualunque tipo di avance per paura di un rifiuto che potrebbe aver compromesso per sempre l'amicizia alla quale teneva tanto. Si poteva intendere l'invito a brindare assieme come una dichiarazione di disponibilità ad andare oltre nella loro relazione?
“Dammi il tempo di fare una doccia.”
Lo accolse scalza, avvolta in un soffice accappatoio bianco. Era stupenda!
Fu una notte di amore appassionato, sfrenato, tenero e selvaggio ad un tempo.
L'atmosfera magica dei Napoli e del suo golfo erano state galeotte...