martedì 21 giugno 2011

GIULIANA (un punto di dolce, un punto di amaro)



Una vecchia canzone napoletana dice “Cu chiste modi, Brigida, tazza 'e cafè parite: sotto tenite 'o zucchero, acopp' amara site...”.
Giuliana era così: amara, per chi la conoscesse superficialmente, ma con un gran cuore e teneri sentimenti dentro la dura corteccia di cui si era rivestita.
L'aveva conosciuta all'Università. Giuliana era un vero genio della matematica: aveva superato i quattro esami previsti dal piano di studi (due al primo anno e due al secondo) al primo tentativo e con il massimo lunghi o dei voti.
Aveva lunghi capelli corvini che portava sciolti e le cadevano sulle spalle come una cascata di riflessi blu cupo. Non era una bellezza, però. E, per giunta, il suo carattere scontroso rendeva difficili anche le normali relazioni di compagnerismo tra colleghi.
Genio della matematica, le risultava però odiosa la chimica, ed in particolare la stechiometria, quella branca della chimica che permette di calcolare che quantità di A può reagire con che quantità di B e che quantità di C e D risulterà dalla reazione.
Stava perfino per cambiare di facoltà. Lo confessò una volta che, inseme ad altri colleghi, stavano, come sempre tra una lezione l'altra, prendendo un caffè nel bar di via Mezzocannone giusto difronte all'Istituto Chimico.
Un giorno, lui, che adorava la chimica fin da ragazzino, le fece una proposta:
“Vorresti studiare insieme con me? Se tu mi aiuti con la matematica, io ti aiuto con la chimica.”
Giuliana accettò, e così lui conobbe l'altra faccia della scontrosa e bruttina Giuliana...
Comprese che la sua bruschezza e difficoltà ad aprirsi, ad inserirsi, era solo il risultato di una estrema timidezza. In realtà era una ragazza dolce, di gran cuore, ed una voglia matta di vivere.
Lui, dal canto suo, riuscì a farle capre che un “ponte a idrogeno” no era come “Il Ponte sul fiume Kwai” (o, come meglio si addiceva alla situazione, “Il Ponticello sul Fiume dei Guai” di Jerry Lewis) ma un legame debole ed instabile che un idrogeno di una molecola formava con l'ossigeno di un'altra, e lei riuscì a fargli capire come e perché il discriminante di un'equazione di secondo grado permetteva sapere se la conica corrispondente era una parabola, un'iperbole o un'ellisse.
Giuliana finì per cambiare facoltà per Ingegneria Elettronica dove, accademicamente, continuarono i suoi trionfi. Però la solida amicizia con lui era rimasta e sarebbe durato molti anni.
“Perché avevi scelto chimica, allora?” le chiese.
“In vista delle possibilità di lavoro. Questa è l'era della chimica: Giulio Natta premio Nobel, moplen, nylon e polistirolo dovunque...”
“E perché allora no Ingegneria Chimica?”
“Me lo hanno sconsigliato: troppo dura, dicono.”
“Ingegneria Elettronica, allora: il domani sarà l'era dei computers?”
“Proprio per questo!”
“Il domani...per ora stanno ancora balbettando. E in più questa storia dell'1-0-1-0 non mi convince...E poi, per saper far funzionare un computer non è necessario saperlo progettare e costruire. Tu guidi l'automobile, magari sei anche un'esperta. Ma sapresti progettarla? È necessario, per poterla guidare?” Secondo lui, il ragionamento non faceva una grinza. E, inevitabilmente, pensò al compagno cervellone della sua classe del liceo che si stava rompendo la testa con l'Ingegneria Elettronica.
La rivide molti anni dopo, come selezionatrice in una intervista di lavoro.
“Che ci fai tu qui, in un'industria chimica?”
“Ecco, vedi: ufficialmente, mi occupo della manutenzione della rete interna di computer dell'azienda, ma, giacché la mole di lavoro non è eccessiva, e ho qualche anno di insegnamento alle spalle, hanno scelto me per intervistare i candidati.”
“Sii clemente con me, in nome della vecchia amicizia!” scherzò lui.
“Sarò inflessibile come il più severo dei giudici, in nome della vecchia amicizia, appunto” rise lei.
“Che ne diresti di una cena, per celebrare la vecchia amicizia?” le chiese al termine dell'intervista.
“Voi corrompermi, vero? Ma il mio giudizio l'ho già formato: non si il candidato che cerchiamo, cena o non cena” rise lei.
“Ma se sono perfetto per il posto! E poi, vuoi mettere? Uno che è stato tuo alunno, e non certo dei peggiori a giudicare dai risultati ottenuti...”
“Fai l'errore di sempre: senza UNA BUONA INSEGNANTE non ci sono buoni alunni!”
“Presuntuosa!... Ma forse hai ragione: 'pontes hydrogeni docent', per non parlare delle reazioni nucleofile o elettrofile...”
“Mi hai convinta. Ci vediamo sabato sera?”
“Perfetto, alle otto”
“OK, alle otto di sabato sera. “
“Ci conto!”
Era cambiata, pensò. Aveva perso la timidezza, la bruschezza di quando era una ragazzina scontrosa ed antipaticuccia. Forse era un'impressione sua, ma con l'età, con i suoi trentacinque già suonati, era diventata anche bella: i neri capelli riuniti in uno chignon dietro la testa, l'abito elegante e le forme piene dell'età matura...non era più la Giuliana che ricordava, e la “nuova lei” non faceva rimpiangere la “vecchia”...
Si era sposata? La facilità con cui aveva accettato il suo invito a cena faceva pensare di no: una donna sposata, magari con qualche figlio, non va a cena fuori sola, foss'anche con un amico di tanti anni fa e non più rivisto... Ma erano solo congetture, e non le avrebbe chiesto niente, per non metterla in imbarazzo: se voleva, glielo avrebbe detto lei spontaneamente.
Il sabato mattina Giuliana gli telefonò.
“Caro amico, ti sei giocato il posto.”
“Come? Perché?” chiese sbalordito.
“ Come 'come'!- rispose lei ridendo - non si può dare un posto di responsabilità ad un candidato che ti invita a cena e non ti chiede il numero di telefono né dove abiti per venirti a prendere o, per lo meno, dove ci si deve incontrare? Io ti ho potuto rintracciare solo perché ho i tuoi dati, compreso il telefono di contatto, sul tuo curriculum, se no, addio cena!.”
“Che stupido, Dio mio, hai ragione! Bene, allora, ti vengo a prendere alle otto a...”
Lei gli dette l'indirizzo, gli spiegò come arrivarci, ed alle otto, puntuale come un cronometro svizzero, lui era davanti al portone di lei.
Era elegantissima: un vestito nero senza maniche, incrociato sul davanti e fermato in vita con una sottile cintura di coccodrillo pure nera, con una broche con uno smeraldo sulla spallina di sinistra e un sottile laccio piatto di oro al collo. I capelli, sciolti sulle spalle, scendevano con due soavi onde ai due lati del viso. Trucco appena percettibile e i suoi due splendidi e ridenti occhi neri...
“Hai qualche preferenza sul posto?” chiese lui.
“No, scegli tu.”
“Non ho prenotato, perché volevo assecondare i tuoi gusti. Nouvelle cuisine o cucina tradizionale, o cinese. Carne o pesce...decidi tu.”
“E se invece del tipo di cucina scegliessimo in base al posto?”
“Be'. Allora. Co sarebbe Totonno 'o zuzzuso a Forcella...
“Ahahahah!...Non ne conosci qualcuno più sordido?”
“Allora, andiamo a 'La Bersagliera,. Lo conosci? Sta in via Partenope, davanti a Castel dell'Ovo.”
“Si, ci sono stata. Si mangia bene, e la vista è stupenda!”
Lasciarono la macchina in una delle traverse, e raggiunsero il ristorante a piedi.
Lasagna, cotolette alla milanese, un buon Gragnano rosso d'annata...
“Tipica cena napoletana sulle rive del golfo... “ commentò Giuliana, sarcastica. Però mangiò di gusto: la cucina era ottima ed il vino molto buono.
Alla loro sinistra, nella lontananza, la nera mole doppia del Vesuvio e del Monte Somma spiccava nel blu del cielo notturno. Sulle pendici del Vesuvio brillavano le luci della funivia che porta al cratere.
“Vedi le luci della funivia del Vesuvio? Mia madre diceva che sembrano una spilla di diamanti.”
Andarono poi in macchina a prendere un gelato al Gambrinus, storico locale con i tavolini ai margini di piazza Trieste e Trento, alla vista del Palazzo Reale.
“Sai l'atroce battuta che si raccontava un tempo sul Gambrinus?
“No. Qual'è?”
“Un padre dice alla turba dei suoi marmocchi: 'Fate i bravi, che papà vi porta a vedere come i signori mangiano il gelato al Gambrinus'...”
“Meno male che son finiti quei tempi!”
“Sì, però il Gambrinus continua ad essere un locale di alto standing, oltre che di secolare tradizione!”
Approfittarono di tenere la macchina ben parcheggiata per fare due passi: passarono davanti al Teatro San Carlo poi, costeggiando i giardini della Biblioteca Nazionale, raggiunsero via Cesario Console, Piazza Plebiscito, tra Palazzo Reale e San Francesco di Paola, e di nuovo a piazza Trieste e Trento.
Chiacchierarono amabilmente del più e del meno, godendo il tepore della notte napoletana, dimenticati i pensieri, i problemi, il trantran quotidiano del lavoro, felici di aver ritrovato un'amicizia di gioventù, perduta per tanti anni. Ricordarono compagni di studi, anche loro persi di vista, i professori, le aule che avevano condiviso tanti anni addietro, il batticuore degli esami, il sollievo di aver finalmente terminato gli studi quando si laurearono, la soddisfazione della laurea conseguita, ma anche le festicciole tra amici e colleghi, quando si ballava guancia a guancia al suono della voce di Peppino di Capri, Gino Paoli o Mina (“Quando sei qui con me, questa stanza non ha più pareti...”).
Ed alla fine, ripresa la macchina, lui la riaccompagnò a casa.
“Grazie per la stupenda serata!” disse Giuliana con convinzione.
“Grazie a te per la buona compagnia!”
Sarà stata la cena, sarà stata la vecchia amicizia, ma ebbe il posto...

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