sabato 18 giugno 2011

LUCIANA (Una gita a Napoli)



Spense il pc, andò in cucina e bevve la ventesima tazza di caffè da quando era sveglio, accese l'ennesima sigaretta e si affacciò sul terrazzino che dava sulla baia.
Aveva scritto la parola FINE al suo primo romanzo.
Scrivere era sempre stata la sua passione, ma aveva smesso quando, sposatosi, il trantran della vita quotidiana, lavoro, famiglia, figli, avevano come rinsecchito la sua vena.
Ma ora, con i figli ormai adulti e sistemati, il lavoro avendo dato passo alla pensione, il matrimonio rotto, dopo quasi quarant'anni, per il logorio di una vita troppe volte molto difficile, aveva ritrovato il piacere della scrittura.
Aveva dormito male: una cena un po' pesante con alcuni amici, forse qualche bicchiere di troppo...
Decise di uscire a fare due passi. Il sole di giugno scottava, ma una fresca brezza lo accarezzava, rendendo il calore più sopportabile. Aveva notato come queste passeggiate sulla riva del mare erano fonte di idee, per cui portava sempre con sé un taccuino ed una biro, per buttare giù le idee che poi avrebbe pulito e messe “in bella” sul pc.
Aveva scritto “amici”? Errore: persone conosciute per caso o per lavoro, di cui non sapeva niente e che di lui non conoscevano se non il presente...Gli amici, quelli veri, sono quelli che hai conosciuto sui banchi di scuola. Amici che sanno tutto di te come tu sai tutto di loro, con i quali si può parlare tanto della biondina a cui vorresti fare la corte ma che nemmeno sa che esisti, come della teoria dell'evoluzione e la religione., ma MAI di politica!
Amici sono quelli con cui te ne vai, munito di una tenda da spiaggia, a fare un campeggio al Lago Laceno, a oltre i mille metri sul livello del mare, dove non riuscite a dormire la notte per il freddo, fino a che non coprite il “pavimento” della tenda con uno strato abbondante di paglia.
Poi ti sposi, si sposano...e li perdi. Tu emigri, loro lasciano la città natale. E quando, anni dopo, cerchi di rintracciarli, sono svaniti nel nulla...
Era appena rientrato quando squillò il telefono.
“Ciao, come stai?” lo salutò la voce argentina di Luciana.
“Luciana! Già tornata? Ti facevo ancora a Roma...”
“Sono rientrata prima, avevo nostalgia del tuo mare...”
“Ed io nostalgia di te...Ma dimmi, com'è andato il congresso”
“Ti dirò. Il Professor Scicluna ha fatto un'ottima dissertazione sui templi megalitici di Malta, con grande scialo di diapositive di Tarxien, Gar Dalam e Mnaidra, dell'ipogeo di Hal Saflini e le “veneri” opulente. Però, niente di nuovo. Tutto quello che riguarda i costruttori, chi erano, da dove venivano, perché scomparvero senza lasciare altra traccia che i megaliti è ancora avvolto nel più oscuro misteri. Solo sanno dire che i megaliti sono anteriori alle stesse piramidi egizie...”
“Ti va di fare una passeggiata o sei stanca del viaggio?”
“Non sono assolutamente stanca, ieri ho pernottato a Roma e mi sono ripresa...”
“Passo a prenderti fra mezz'ora, ve bene?”
“No, vengo io. Il “tuo” mare è molto più bello di questa spiaggia piatta di Las Palmas.”
“Ti aspetto, allora, Ciao!”
Arrivò, splendida nei suoi quarant'anni, con un paio di pantaloncini bianche ed una t-shirt turchese, calzata con un paio di infradito che evidenziavano la perfezione dei suoi piedini, le affusolate e lunghe gambe delle quali una leggera tintarella evidenziava la perfezione, i riccioli biondi, corti, le incorniciavano un viso di porcellana con due vivissimi occhi marrone ed un sorriso di perle.
Si erano seduti sul terrazzino che dava sulla baia, lei con un gin con tonica e tanto ghiaccio, lui con una coppa di vecchio Napoleon.
“Raccontami di Roma. Non penso che le sedute del congresso siano durate ventiquattro ore al giorno...”
“No di certo! E non mi sarei mai lasciata scappare l'occasione di visitarla! È veramente una città stupenda! Ancora e sempre caput mundi ! E poi, voi italiani siete meravigliosi!”
Si erano conosciuti per Internet su una pagina di un social network, poi l'amicizia virtuale si era trasformata in reale, grazie al fatto che entrambi vivevano in quello stupendo fazzoletto di terra in mezzo all'Atlantico che è l'isola di Gran Canaria. Luciana archeologa di professione, specialista in civilizzazioni preromane del Mediterraneo, lui appassionato amateur di archeologia, avevano trovato una ragione, un affinità culturale che aveva trapassato i limiti dell'amicizia virtuale per trasformarsi in un solida amicizia reale. Aveva trasferito su di lei tutto l'affetto che provava per la sua figlia reale, unica dopo cinque maschi, che, anni prima, aveva rotto tutti i contatti senza alcuna ragione che gli fosse dato intendere (“Dobbiamo parlare”, gli aveva scritto qualche anno addietro in risposta ad un suo e-mail col quale lamentava il silenzio ed il gelo che si era stabilito fra loro due ma non avano mai parlato...).
“Sei mai stata a Napoli?” le domandò.
“No...”
“Allora ti faccio una proposta. Quando prendi le ferie?”
“A giugno”
“Se vuoi, ti porto a Napoli per un paio di giorni. Ti va l'idea?”
Luciana accettò l'idea, ed ai primi di giugno partirono. Presero un volo diretto da Las Palmas ed arrivarono nella tarda mattinata all'aeroporto di Napoli Capodichino, dove affittarono una macchina.
Per il Corso Lucci arrivarono a piazza Garibaldi, completamente intasata di auto con centinaia di clacson che strombazzavano contemporaneamente a più non posso.
“Che chiasso infernale!” commentò Luciana.
“ Che ci vuoi fare? Nella mente del napoletano esiste la strana convinzione che, suonando il clacson, la macchina che sta davanti a lui si muova...”
Poi il Rettifilo, per via Depretis arrivarono alla fine a piazza Municipio, difronte alla mole grigia del castello del Maschio Angioino. Parcheggiarono la macchina e si avviarono a piedi verso il castello.
“Che te ne pare, fin qui?” le chiese.
“Uhm...non è che abbia visto molto...però, fin qui, bene, mi piace.”
Per fortuna, quel giorno il Maschio Angioino era aperto ai visitanti, sicché, varcato il portale marmoreo aragonese, poterono vedere la famosa Sala dei Baroni, dove il papa Celestino V fece “il gran rifiuto” ed il successivo conclave elesse il famoso Bonifazio VIII., ed ammirare le sottili nervature di pietra che sostengono la enorme cupola.
“Qui si respira la storia!” mormorò Luciana.
“Sì, troppo spesso noi napoletani ci dimentichiamo chi siamo stati...”
Pranzarono in un buon ristorante non lontano, in via Santa Brigida, e poi, ripresa la macchina, senza mai lasciare il lungo mare, per via Nazario Sauro, poi via Partenope, poi per via Caracciolo fino al porticciolo di Margellina e la Villa Comunale. Al passare all'altezza del Castel dell'Ovo, come lanciato in mezzo all'azzurro del del mare su di una lingua di terra, lui le domandò:
“Sai cos'è quella massa di tufo giallastro che sembra navigare verso orizzonti lontani? È il Castel dell'Ovo, anteriore al Maschio Angioino, dove visse la regina Giovanna I.”
“Perché si chiama così?”
“Il nome deriva da un'antica leggenda secondo la quale un mago nascose nelle segrete dell'edificio un uovo che mantenesse in piedi l'intera fortezza. La sua rottura avrebbe provocato non solo il crollo del catello, ma anche una serie di rovinose catastrofi alla città di Napoli.”
Si era fatta sera, e, ad una ad una, si stavano accendendo le luci.
“Che te ne sembra se ceniamo qualcosa?” domandò Luciana.
“Che te ne sembra se ci facciamo una pizza?” rispose lui.
“Siiii! Adoro la pizza!”
“La migliore è quella della Pizzeria Trianon. Così vedrai un'altra faccia di Napoli, quella che non si vede sulle cartoline postali, ma che è altrettanto e forse più Napoli di quella dei dépliant turistici.”
Il quartiere di Forcella, il quartiere popolare del contrabbando di sigarette, delle cento bancarelle che vendono di tutto, dove il brulichio di persone affaccendate in centomila cose diverse non si ferma neanche la notte, si stende tra la via Duomo e la via Pietro Colletta, dove si trovava, appunto
la famosa pizzeria Trianon.
Ordinarono due pizze Margherita.
“E da bere?” chiese il cameriere.
“Scegli tu il vino” gli disse Luciana “io non saprei quale scegliere...”
“Mia cara, qui non c'è da scegliere un vino: sulla pizza si beve birra!”
“Ed allora, birra sia!”
Ordinarono due birre ed aspettarono che gli servissero le due “margherite”.
“Sai perché la pizza che abbiamo ordinato si chiama pizza margherita?”
“No, perché?”
“Perché, quando l'allora re d'Italia Umberto I venne in visita a Napoli un pizzaiolo napoletano inventò questa pizza con i tre colori: il rosso del pomodoro, il bianco della mozzarella, ed il verde del basilico, e la dedicò alla regina Mrgherita, moglie, appunto di Umberto I”
“Che romantico!”
“Vedi, il napoletano, intimamente, nel più profondo dei suoi sentimenti, è fondamentalmente monarchico...Chiamalo romanticismo, chiamalo ignoranza politica, chiamalo essere sognatore, o che nei geni si tramanda ancora il vecchio, grande Regno delle due Sicilie, ma è così.”
“E, dopo centocinquanta anni di unità, c'è ancora questo feeling con i Borboni?
“Si perché questi centocinquanta anni sono stati anni di abbandono, di degrado. Ma su, non parliamo di cose tristi, godiamoci queste squisite margherite (questo sì, con m minuscola) che stanno arrivando! Bon apetit!”
La mattina dopo, tornarono al centro. In piazza Trieste e Trento lui le mostrò la fontana del centro della piazza.
“Vedi quella scultura in bronzo dalla quale esce il getto d'acqua? La chiamano spregiativamente il carciofo. Ai napoletani non piacque: la definirono un obbrobrio, una porcheria, e chi ne ha più ne metta. La fontana fu letteralmente regalata alla città dall'allora sindaco Achille Lauro, che pagò la costruzione con soldi della propria tasca. M ai napoletani non piacque.”
“Sbaglio, o da voi si dice che a caval donato non si guarda in bocca?”
“Si, ma il malcontento fu fomentato dall'opposizione. Non ostante questo, Lauro fu eletto sindaco per due mandati, poi parlamentare alla Camera con la più alta quantità di preferenze della storia della repubblica: quasi settecentomila!”
In piazza Plebiscito, Luciana ammirò il colonnato della chiesa di San Francesco di Paola, che copiava, a scala ridotta, quella della Basilica di san Pietro a Roma, e si soffermò davanti alle sei statue a grandezza naturale nelle nicchie della facciata del Palazzo Reale, tre per ogni lato del cancello d'ingresso.
“Chi sono questi personaggi?”
“Sono i re delle diverse dinastie che si sono succedute sul trono di Napoli, dal più antico, Ruggero il Normanno, fino al più recente, Vittorio Emanuele II di Savoia, passando per Federico II di Svevia (che Dante chiama “il vento fresco di Soave”), Carlo D'Angiò (quello che fece costruire il castello che abbiamo visitato e che da lui prende il nome), Carlo V d'Asburgo, Carlo III di Borbone, il “re buono”, a cui si devono grandi opere di beneficenza come l'Albergo dei poveri, poi Gioacchino Murat, che in realtà fu solo Viceré, governando in nome del cognato Napoleone Bonaparte”.
“Quanti secoli! Sono stupita, non lo sapevo!”
“Già. Siamo più vecchi di voi...Il Regno di Spagna nasce al finale del secolo XV, mentre quello di Napoli agli inizi del XIII! Quasi tre secoli prima!”
“Via, non vorrai litigare per ragioni di storia, no?”
“Io, litigare con te? Macché! Era solo una battuta...Ma ora ti porto a pranzare...”
Pranzarono nel ristorante più antico e famoso di Napoli, in riva al mare, giusto di fronte al Castel dell'Ovo: antipasto di mare, spaghetti a vongole, frittura di pesce, innaffiando il tutto con un ottimo Epomeo bianco.
“Che te ne è sembrato?”
“Be', anche noi in Canaria abbiamo ristoranti dove si può mangiare del buon pesce, ma devo ammettere che il pesce del Mediterraneo ha più sapore di quello dell'Atlantico. Ed il vino veramente ottimo.”
Il giorno seguente furono a Sorrento e poi ad Amalfi, percorrendo la statale 163.
“Questa strada tutte curve mi ricorda la strada che, da Maspalomas porta a Puerto di Mogàn.” commentò Luciana. Lui ridacchiò:
“Solo per l'interminabile serie di curve, però qui si viaggia in mezzo al verde, alberi alti e frondosi ad entrambi i lati. In Canaria, solo brulle colline di lave brune...”
A Sorrento Luciana comprò un chilo delle magnifiche arance sorrentine, ed alcune piccole gioie di corallo rosso ed altre di corallo bianco, produzione tipica della penisola.
“Questo in Canaria non lo avete!” commentò lui sornione.
Si soffermarono a guardare la statua di Torquato Tasso
“Guarda, l'autore della 'Gerusalemme Liberata'...Era di qui?”
“Sorrentino puro sangue!”
Quella sera cenarono in albergo. Era la loro ultima notte a Napoli.
“In camera mia c'è un minibar...” disse Luciana, “se vuoi, brindiamo insieme alla nostra avventura napoletana...”
Era un invito? Lui dovette ammettere che Luciana gli era sempre piaciuta, ma sempre si era frenato dal fare qualunque tipo di avance per paura di un rifiuto che potrebbe aver compromesso per sempre l'amicizia alla quale teneva tanto. Si poteva intendere l'invito a brindare assieme come una dichiarazione di disponibilità ad andare oltre nella loro relazione?
“Dammi il tempo di fare una doccia.”
Lo accolse scalza, avvolta in un soffice accappatoio bianco. Era stupenda!
Fu una notte di amore appassionato, sfrenato, tenero e selvaggio ad un tempo.
L'atmosfera magica dei Napoli e del suo golfo erano state galeotte...

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