
Napoli, Luglio1962
Sedici luglio 1962: esame di maturità nell'Istituto Collegio Bianchi di Napoli.
L'aula magna dell'Istituto era stata adattata con una serie di cattedre per accogliere la commissione esaminatrice per gli esami orali.
Mentre il primo gruppo di esaminandi passava il calvario delle interrogazioni, il resto si raggruppava nel terrazzino contiguo all'aula, alcuni fumando nervosamente. Fumare era ovviamente strettamente proibito, ma i buoni Padri facevano finta di non vedere, considerando la tensione di quelli che aspettavano il loro turno per essere interrogati.
Finalmente, uno alla volta, cominciarono ad uscire dall'aula i primi che avevano ormai superato le interrogazioni. Furono immediatamente circondati, e si incrociarono domande e risposte: com'erano gli esaminatori? Severi? Chiedevano molto? Facevano domande difficili?
“La commissaria di Italiano è una vera arpia!”
“E il greco? Com'è andata con il greco?”
“Be', si sono resi conto che il testo ministeriale della traduzione proposto per lo scritto conteneva un errore di ortografia (una omega con iota sottoscritta che nel testo ministeriale era scritta senza iota) che rendeva incomprensibile un intero periodo, ed hanno deciso di non tenerlo in conto...”
“Il migliore è quello di storia dell'arte! Mai avuto un'interrogazione così semplice!”
“Ci credo! Non per niente è il membro interno!”
“Sì, ma il suo voto fa media come tutti gli altri...”
“Buon per noi se riesce a farci salire la media di qualche decimo!”
I tre inseparabili, Roberto, Paolo e Gianni, compagni di classe e di studio, ma anche di svago, durante gli ultimi cinque anni, si ritrovarono si ritrovarono nella friggitoria dell'angolo, messa lì casualmente (ma forse nemmeno tanto...) a rimpinzarsi di panzarotti (croquet di patata) fatti, per risparmiare, con il minimo indispensabile di uovo e quindi piuttosto flaccidi, e paste cresciute, soffici frittelle di farina lievitate, e pall''e riso, arancini di riso, il tutto fritto con un olio che senza dubbio aveva visto giorni migliori: a quell'epoca, la parola colesterolo non entrava nel vocabolario dei non “addetti al lavoro”, ma la salute intrinseca dei diciotto anni poteva permettersi questi strappi alla dieta salubre senza maggiori conseguenze.
“Come ti è andata?” chiese Paolo a Roberto, lo sgobbone del gruppo.
“Non sono sicuro (E quando mai questo è sicuro di qualcosa? si chiese Paolo), ma temo che mi rimarrà fisica per ottobre...”
“Con tutto quello che mi hai fatto sudare per fartela entrare in quella zuccona tua - rispose Paolo - Tutta fatica sprecata!”
“Che ci vuoi fare...ormai, quello che è fatto è fatto. Sai che il gruppo scienze non è
mai stato il mio forte...”
“Ah, perché il gruppo lettere si!” rise Gianni.
“Non mi prendere in giro! Già ne ho abbastanza con le mie proprie preoccupazioni per sopportare anche le tue ironie!”
“E a te come è andata?” chiese Roberto ad Paolo.
“Be' non mi posso lamentare. Però l'arpia di italiano quasi mi rovina i risultati con una domanda tanto assurda che sono convinto che me l'ha fatta solo per fregarmi...Meno male che ho fatto un ottimo scritto...”
“Avrei proprio voluto vedere il contrario!” commentò Gianni.
Napoli, agosto 1962
Visti i risultati (tutti e tre “maturi”, anche Roberto, non ostante i suoi dubbi sull'esame di fisica), lasciate alle spalle le tensioni e gli sforzi di quell'ultimo anno di scuola, e con la mente già proiettata verso l'università, cominciarono le migliori vacanze della loro vita.
Stavano andando verso la spiaggia di Lucrino, a pochi chilometri a nord di Napoli con la nuova auto di Roberto, regalo della famiglia per la conseguita maturità.
“Avete già pensato a quello che farete, all'Università? - chiese Gianni.- “Per me, è una scelta quasi obbligata: figlio di medico, nipote di medico...dovrò seguire la tradizione di famiglia, penso. Però un poco mi spaventano i sei anni di facoltà, più possibilmente un paio di anni extra per una specializzazione. A meno di non fare il medico della mutua...”
“Io non mi pongo problemi. - rispose Roberto – Esclusa qualunque facoltà scientifica, non mi rimane che fare Legge, quattro anni di facoltà relativamente facili e poi un qualsiasi concorso nell'amministrazione statale. Ventisette sicuro, a casa tutte le feste comandate e non, senza fretta né pressione...”
“Non ti illudere con la facoltà di Legge: mi hanno detto che, con il professor Guarino, l'esame di Diritto Romano risulta notevolmente ostico.”
“Sarà, ma è un solo esame!”
“Il mio sogno è più ambizioso. – interloquì Paolo – Spero di riuscire a rimanere nell'ambito universitario, come assistente, e sviluppare il lavoro che ho cominciato come tesi di laurea: un qualche nuovo tipo di materiale plastico. Oggi che siamo invasi dalla plastica, dalle fibre tessili artificiali, nailon, terital eccetera, ai recipienti di Moplen, è un campo talmente vasto ed aperto a tutti gli sviluppi dove l'investigazione riveste un ruolo sempre più importante.”
“Ragazzi, basta parlare di studi, facoltà eccetera: ci aspettano le ragazze! Buona caccia a tutti noi, ed a goderci le meritate vacanze!”
“Questo sì che è parlare chiaro! “
“Ragazze, arriviamo!”
Quella di Lucrino non era una spiaggia esclusiva come potevano essere quella del Sea Garden o del Bagno Savoia (che, in realtà, non aveva nemmeno una spiaggia, ma uno stabilimento in legno costruito su palafitte), ma il solo fatto di essere difficilmente raggiungibile se non si aveva un automobile, produceva, di fatto, una
specie di selezione naturale, per cui i bagnanti che la frequentavano appartenevano tutti alla borghesia medio-alta di Napoli, e l'ambiente era molto familiare. In più, la posizione geografica, lontana dalle rotte commerciali del porto di Napoli, evitava la presenza delle “gallette” di petrolio che generano le petroliere al lavare le stive con l'acqua del mare, sversandola poi nel golfo. Lo stabilimento balneare aveva una fila di anguste cabine addossate al muro di cinta, gli spogliatoi, che si affittavano a giornata, mentre, più verso la riva, ma sempre lasciando una ampia fascia di sabbia dorata per ombrelloni e sdraio, si trovavano alcune file di ampie cabine in legno, affittate per tutta la stagione. All'entrata dello stabilimento c'era un piccolo bar, dove si potevano comprare gelati e rinfreschi o fare uno spuntino seduti ai pochi tavolini di cui disponeva. La madre di Roberto affittava ogni anno la stessa cabina per tutta la famiglia ma, di fatto, l'unico che la usava era Roberto: la madre e la sorella sposata solo andavano a Lucrino qualche fine de settimana, sicché la cabina restava a completa disposizione sua e dei suoi inseparabili amici.
La cabina contigua era affittata, anch'essa tutti gli anni, da una famiglia con due figlie, Tina e Lisa, più o meno coetanee di Roberto. L'amicizia tra i giovani era sorta spontanea fin dagli anni precedenti. Nelle tre ore di obbligatorio “riposo di digestione” dopo lo spuntino del mezzogiorno, durante le quali non era consigliabile bagnarsi per evitare possibili corti di digestione, i cinque erano soliti giocare a carte o ad uno strano gioco molto in voga sulle spiagge quegli anni: il gioco dello zoccolo. Il gioco consisteva nel fare girare con una spinta della mano, appunto, uno zoccolo appoggiato su di un rialzo della sabbia, cantando una sciocca cantilena che diceva, più o meno, “allo scambio del gioco noi giochiamo a scascimbàl. Per chi e va per chi viene con il gigolo-gigolo-là”, e, quando l'impulso si fosse esaurito e lo zoccolo si fosse fermato, vedere quale dei giocatori indicava la sua punta. Il giocatore così indicato era sottoposto ad una “penitenza”, scelta tra le cinque che, sempre le stesse, gli si proponevano. Nell'ultimo paio di anni, ai giocatori si univano due ragazzine, Olly (Ornella) e Mina, che venivano tollerate ma che mai entrarono a far parte effettiva della combriccola, giacché erano di un paio d'anni più giovani degli altri.
Col passare degli anni, l'amicizia tra Roberto e Tina si era andato trasformando in qualcosa di molto più profondo, tanto che, terminata l'università e superato con esito il concorso nell'Amministrazione Statale di Roberto, in capo ad un paio d'anni si sposarono.
Gianni, dal canto suo, continuò a vedersi con Lisa ma, farfallone com'era, la cosa non andò molto più in là di qualche passeggiata romantica e qualche bacio senza convinzione, terminando completamente alla fine della stagione dei bagni.
L'unico ancora “scapolo” era Paolo. Non ci sapeva fare, con le ragazza. Aveva sì preso un paio di “cotte” (non era affatto che le ragazze non gli piacessero, anzi!), ma
il suo romanticismo, il suo animo di poeta, era come un deterrente per le ultramoderne ragazze dell'epoca...altro che fiori e poesie d'amore! Altro che balli chick-to-chick! E lui odiava il rock! A volte si domandava se sarebbe mai riuscito ad avere una relazione...A dire il vero, c'era almeno una ragazza che gli faceva gli occhi dolci: Ornella che, con Mina, la sorella più piccola, “abitava” la cabina affianco.
Le due cercavano sempre di unirsi ai giochi della combriccola dei tre amici, che le tolleravano, ed Ornella faceva sempre in modo di trovarsi il più vicino possibile a Paolo, che era il suo idolo. Ma c'era un problema serio: Ornella aveva non più di quattordici anni. Una qualsiasi relazione che andasse più in là di una semplice amicizia di spiaggia era assolutamente impossibile...
Sesto San Giovanni (Milano). Ottobre 1987
Smog! Un muro grigio, spesso e compatto, che tappava completamente la vista e, quando alla fine si alzava, lasciava un nero tappeto di fuliggine sul pavimento del balconcino di casa. Vivere in quel clima così avverso e così diverso dal dolce clima napoletano era lo scotto che Paolo doveva pagare per veder realizzato il suo sogno professionale: la ricerca. Era stato infatti assunto nel centro di ricerca della più importante azienda chimica italiana. Non era l'Università, evidentemente, ma sempre un ottimo sostituto.
Quella che più aveva sofferto con l'impatto di un clima ingrato ed un intorno inospitale (erano terroni, provenienti da un'altra cultura, malvisti anche in una città come Milano, dove la percentuale di immigrati era forse la più alta di tutta Italia), era la moglie Ornella.
Ornella... La squallida, insignificante e petulante quindicenne dell'epoca dorata del liceo e delle piacevoli vacanze sulla spiaggia di Lucrino, durante gli anni dell'università si era convertita in una splendida ventenne, intelligente, colta e spigliata. Dalla brutta e sgraziata crisalide era emersa una meravigliosa farfalla. Si erano visti con frequenza. Ad Paolo piaceva la sua compagnia, ed era chiaro che anche per Ornella quegli incontri non erano indifferenti. Sicché quando per Paolo fu chiaro che se ne era innamorato, la reazione positiva della ragazza alle sue avances lo convinse che non era qualcosa di passeggero, ma che Ornella era oramai la donna della sua vita. Quando Paolo ottenne il posto nell'Istituto di Ricerca, lo seguì con entusiasmo a Milano, condividendo con lui i momenti amari della xenofobia dei vicini di casa e le sue soddisfazioni nel lavoro di ricerca che stava svolgendo.
Ma la nostalgia per il clima ed il mare di Napoli era troppo forte per entrambi, sicché finirono per sobbarcarsi gli ottocento chilometri di autostrada e tornare “a casa” per lo meno un paio di volte all'anno, in occasione delle vacanze natalizie o delle ferie estive.
Questo ottobre era un mese importante per Luca, il figlio: avrebbe cominciato il liceo. Aveva superato le medie con ottimi voti, ma il passaggio al liceo era qualcosa dippiù che un cambio di classe. Per Paolo, questo significava un po' quello che per gli antichi romani era indossare la toga pretexta, era il passaggio dall'infanzia alla gioventù, era l'inizio dei primi flirts seri (il ricordo del suo proprio con Ornella era ancora ben vivo nella memoria di Paolo), era l'inizio di una tappa potenzialmente pericolosa per il giovane e difficile per i genitori, che avrebbero dovuto seguirlo con molto tatto perché si mantenesse sulla strada giusta senza essere opprimenti ma senza mai perderlo di vista, senza mai imporre né proibire, ma cercando di instaurare una corrente di confidenza e di fiducia reciproca.
Napoli. Ottobre 1987
Seduto dietro la sua massiccia scrivania di Capo Sezione della Provincia di Napoli, Roberto stava ripassando con la mente la sua storia degli ultimi anni. Ottenuta finalmente ed alla meglio la laurea in Giurisprudenza in cinque anni ed una sessione (quattro anni di corso ed uno e mezzo di “fuori corso”), aveva affrontato tre concorsi in tre amministrazioni diverse ed alla fine aveva ottenuto il posto, tanto desiderato, di funzionario della carriera direttiva della Provincia. Finite le sue lotte con i testi giuridici ed i temari di concorso, oramai viveva una vita tranquilla, senza soprassalti, con la sicurezza di un lavoro che nessuno avrebbe potuto togliergli più.
Si era sposato, finalmente, con la sua fidanzata di sempre, Tina, ed ora erano in attesa del secondo figlio: la prima era stata una femminuccia, Anna, ma ora sarebbe stata la volta dell'erede delle corona!
Aveva mantenuto rapporti sporadici con Gianni, che gli dava sporadicamente scarse notizie di Paolo, come diceva lui, “perduto nelle brume del nord”. Però, suo malgrado, sentiva una certa invidia per l'amico della sua gioventù: aveva ottenuto il suo scopo, aveva un lavoro interessante che sicuramente, pensava Roberto, gli avrebbe dato molte più soddisfazioni di quelle che il suo dava a lui, aveva sposato l'ultima ragazza che Roberto avrebbe mai immaginato e (almeno così sembrava) erano felici. Poteva lui, Roberto, dire onestamente questo di se stesso?
In realtà, né il lavoro era esattamente un lavoro che potesse dare grandi soddisfazioni, né i suoi rapporti con Tina non erano esattamente quelli che avrebbe potuto sperare. A volte si domandava perché mai l'avesse sposata o, ancora meglio, perché mai lei avesse accettato di sposarlo. Tina aveva mantenuto, anche dopo sposata, i rapporti con le sue amiche di signorina, che vedeva spesso, e con la sua famiglia di origine, ma aveva messo Roberto in condizione di rompere con i suoi amici di gioventù (“Le amicizie di una coppia sono quelle che si fanno in coppia”, era solita ripetere) e di allontanarsi sempre più dalla sua famiglia. Eppure, in questo quadro generale così grigio, per non dire decisamente nero, un faro di luce brillava con forza: Anna! Affettuosa, deliziosamente smorfiosetta, affettuosa, espansiva ed estroversa, la bimba era il dono più prezioso che, a vedere di Roberto, gli aveva riservato la vita. Roberto rifletteva che, anche sa la vita non gli aveva dato tutto quello che avrebbe potuto aspettarsi, quella bimba riempiva qualunque vuoto. E quando si rese conto che Tina aveva un'avventura con un altro, Anna fu la sua ancora di salvezza, e la sua unica ragione di continuare a vivere.
Napoli. Novembre 1987
Intrappolato nel caos del traffico di Piazza Garibaldi, Gianni stava facendo un rapido bilancio della sua vita. La sua indubitabile preparazione professionale ed un notevole intuito gli avevano consentito di essere un ottimo diagnosticatore, lo avevano, in pochi anni, portato ad essere un massimalista. In più, la sua grande empatia verso i pazienti
Eppure, qualcosa mancava alla sua vita. Era stato incapace di creare relazioni stabili: con le donne che si erano avvicendate nel suo letto non era mai riuscito a creare un legame solido e durevole. Ma ora, prossimo ai quarantacinque anni, pensava che chissà fosse ora di “mettere la testa a posto”, crearsi una famiglia ed avere dei figli. Vedeva i suoi amici di gioventù sistemati e felici con le loro famigliole, e si sentì improvvisamente vecchio.
Arrivato alla studio, trovò l'anticamera affollata come sempre, quasi tutti vecchietti e cronici che venivano semplicemente a farsi firmare la solita ricetta della mutua.
Chiamò in disparte l'infermiera.
“Nina - le disse piano – debbo fare una telefonata. Tienili a bada cinque minuti. Ti avviso io quando puoi cominciare a farli entrare”
Seduto alla scrivania, alzò il ricevitore e marcò un numero.
“Pronto”: una voce argentina di donna gli rispose dall'altro lato della linea.
“Hallow, Lizzy, how are you?” (Salve, Lizzy, come stai?)
“Gianni! Is that really you?” (Sei davvero tu?)
“Si...Ti ho chiamato perché, be', ecco...volevo invitarti a cena per farmi perdonare...”
“Perdonare? Gianni, si perdona a chi ti ha fatto del male! Tu credi davvero che sei riuscito a farmi del male? Presuntuoso!”
“E tu, crudele... ma lasciamo da parte i complimenti. Ti andrebbe di cenare con me?”
“Quando?”
“Dimmi tu. Per me, anche questa sera stessa.”
“Come buoni amici?”
“Assolutamente!”
“Se me lo prometti...”
“Contaci!”
“D'accordo, allora. Stasera.”
“Ti va bene alle nove?”
“Perfetto!”
“Ti vengo a prendere alle nove, allora. See you soon”
“See you later!”
Andarono a cenare in un ristorante non distante dallo studio di Alex, dove lui era solito pranzare.
“Come vedi, il ristorante è modesto, ma la cuoca fa miracoli!”
“Mi fido dei tuoi gusti. Se non ricordo male, sei un vero gourmet.”
Si avvicinò il cameriere che salutò rispettosamente.
“Buona sera, dottore. Che possiamo servirle?”
“Gennarí, la signora è straniera. Stupiscila!”
“Lasciate fare a me. E da bere?”
“Acqua minerale non gassata per me.” ordinò Lizzy.
“Che acqua e acqua! - esclamò Alex- Portaci una buona bottiglia di Gragnano DOC!”
Mangiarono con appetito un'ottima lasagna napoletana ed un fritto misto di triglie, gamberi e calamari.
“Lizzy, - le disse Gianni mentre aspettavano l'ineludibile caffè di fine cena - la vera ragione di questo invito a cena è che volevo parlare seriamente con te.”
“Me lo ero immaginato. Non si ricompare così, all'improvviso, dopo tanti anni di
silenzio, solo per una cena differente. Non è da te!”
“Sono cambiato, Lizzy! Sono maturato...”
“Era ora, no?”
“Non ridere, per favore. Già è bastante difficile dirti quello che volevo dirti!”
Fece una breve pausa.
“Vorresti tornare con me, Lizzy? Ti offro una vita tranquilla, casa-lavoro-casa, con un turba di marmocchi che scorrazzano, giocano e ridono tra le nostre gambe...Che te ne pare?”
“L'immagine che mi proponi è allettante, lo ammetto. Ma il passato è ancora troppo recente nella mia memoria. E non è un ricordo molto piacevole, a dire il vero. Diciamo che avrò bisogno di tempo...”
“Tutto il tempo che vuoi. Solo, promettimi che non svanirai nel nulla, che a questa cenetta se ne aggiungeranno altre...che ci vedremo, per il momento senza impegno, come buoni amici, fino a che non avrai preso una decisione.”
“Se non ricordo male, quello che svanì nel nulla fosti tu. O sbaglio?”
“Te lo farò dimenticare! Promesso!”
Si rividero la settimana seguente, e la seguente, ed alla fine, Lizzy effettivamente dimenticò il passato e, quando alla fine Gianni le chiese “Lizzy, ti voi sposare con me?”, il “Si” di Lizzy fu immediato e sincero.
Sesto San Giovanni, Maggio 1988
“Questa sì che è una notizia davvero inaspettata!” disse esclamò Ornella, dopo aver letto il contenuto di una lettera appena arrivata da Napoli.
“Che c'è di tanto inaspettato, Ornella?” chiese Paolo.
“È arrivato un invito alle nozze di Gianni!”
“Alex? Già era ora! E chi, delle tante, è riuscita a incastrarlo? Per quello che sapevamo, Alex era assolutamente refrattario alle nozze!”
“Be', questa sembra proprio che ci sia riuscita. Non è della nostra combriccola di Lucrino, e, dal nome, sembra inglese: Elizabeth Non-so-che...”
“Una ragazza di fegato, sembrerebbe.”
“Se Gianni si è lasciato incastrare, per usare la tua stessa stupida fraseologia maschilista, bisogna ammettere che sa bene a cosa potrebbe andare incontro.”
“Il tempo passa per tutti, Ornè, e Gianni si sarà reso conto che non ha più l'età per correre la cavallina come un diciottenne, e che era ora di fermarsi e formare una famiglia.”
“Bene. Auguri alla intrepida figlia di Albione. Piuttosto, se decidiamo di andare, bisognerà rispondere subito e cominciare ad organizzarci, giacché suppongo che andremo con tutta la truppa.”
“Non mi perderei le nozze di Gianni nemmeno per un milione!” rise Paolo.
“Pienamente d'accordo. Chiamalo, e conferma che saremo lì con lui per l'avvenimento del secolo...”
“Tu chiama ai nonni: penso che saranno felici di tenersi i nipotini per una mezza giornata. Ed anche a me fa piacere rivedere i vecchi.”
Napoli, Giugno 1987
La cerimonia, solo civile giacché Lizzy era luterana, fu semplice e sbrigativa e molto intima. In compenso, il banchetto in un centrico ristorante fu veramente luculliano.
Dopo che Lizzy ebbe distribuito i confetti agli invitati, gli sposini partirono per il viaggio di nozze e la sala del ristorante cominciò a svuotarsi.
“Quanto tempo vi tratterrete qui a Napoli?” domandò Paolo a Roberto ed Ornella.
“Be', abbiamo approfittato dell'occasione, e ci siamo presi le ferie: ci tratterremo una quindicina di giorni.”
“State con i nonni, suppongo.”
“Si. Gli abbiamo letteralmente invaso la casa. Ma debbo aggiungere che stanno contentissimi per l'invasione...”
“Bene, allora vi faccio una proposta. Ho una casetta quasi sulla spiaggia a Vico Equense: che ve ne sembra passare una settimana al mare? Dopo tanto smog, deve essere un sollievo. E poi, vedo con piacere che il vostro Luca ha fatto buona amicizia con i miei Maurizio ed Anna.”
“Sopratutto con Anna. - rise Ornella – Se il mio istinto di madre-chioccia non mi inganna, c'è da aspettarsi che questa buona amicizia sia l'inizio di qualcosa di importante...”
Seduti sulle comode sdraio della spiaggia di Vico, mentre i ragazzi giocavano un'accanita partita di ramino e le donne commentavano i fatti mondani del momento, i due amici assaporavano il piacere di ritrovarsi insieme dopo tanti anni.
“Dovremmo vederci più spesso.- disse Paolo - Non dobbiamo aspettare il prossimo matrimonio che, presumibilmente, non si celebrerà che fra una decina d'anni!”
“Be', una soluzione ci sarebbe...Giacché suppongo che a Sesto non abbiate una spiaggia, ed andare a fare il bagni in piscina non è certo l'ideale, ti posso dare un'idea.”
“Sarebbe?”
“Fai come ho fatto io: comprati un appartamentino da queste parti e passa qui le ferie estive. Vedrai come finiremo per trascinare qui anche a quel sedentario di Alex! - rise- Non la conosco, ma immagino che neanche a Lizzy faccia molto piacere passare le soffocanti estati napoletane in città.”
“L'idea mi sembra buona. Ne parlerò con con calma con Ornella e ti farò sapere. “
Malta, Giugno 1987
Affacciati dall'alto dei bastioni de La Valletta, Gianni e Lizzy guardavano il panorama che si apriva davanti ai loro occhi. Il porto commerciale, le fortificazioni medievali e, in una terrazza giusto sotto di loro, la batteria di cannoni di bronzo che, ancora oggi, artiglieri in uniforme del secolo diciotto, sparavano a salve il giorno della festa nazionale.
Si erano alloggiati nell'elegante e modernissimo Hotel Preluna, a Slima, e da lì si erano spostati a visitare tutta l'isola.
Era incredibile la ricchezza di siti storici o archeologici che offriva l'isola: il centro storico de La Valletta, la capitale, con le sue stradine in forte pendenza, era rimasto intatto e conservava tutto il suo fascino anche con il traffico (ferreamente vietato alle automobili) di turisti stranieri e di affaccendati cittadini maltesi, gli imponenti palazzi cinquecenteschi dove si alloggiavano i Cavalieri di San Giovanni, uno per ogni nazionalità rappresentata nell'Ordine, la Cattedrale, piccola e raccolta, con le lapidi delle tombe dei vari Gran Maestri dell'Ordine che formano il pavimento della navata centrale.
Erano poi stati a visitare i “templi” megalitici di Mnaidra, Ggantia, Hagar Him, Tarscen: impressionanti costruzioni di grandi blocchi di pietra che tutti continuano a chiamare “templi” non ostante che, da un punto di vista strettamente archeologico, non si è potuto ancora accertare né chi li avesse costruiti né la loro reale funzione, ma sì che sono di mille anni prima di Stonehenge. Ma il più impressionante di tutti fu l'ipogeo di Hal Saflieni: una struttura completamente scavata in verticale nella roccia, su diversi livelli sempre più in profondità, e nel quale furono ritrovate le statuette chiamate “Veneri Maltesi”, figurine di donne dai fianchi spropositati, giacenti su di un lato.
Le bianche scogliere di Dingli offrirono loro uno spettacolo superbo: una altissima parete che si innalza verticalmente per duecento cinquanta metri a picco sul mare, che rugge e frange ai suoi piedi con bianche spume.
Però Malta non è solo storia ed archeologia, è anche spiagge di arena bianca e sottile, come quella di Melliah, nel nord dell'isola, dove passarono piacevoli mattinate di mare, mollemente sdraiati al caldo sole del Mediterraneo, dopo notti di amore intenso come quando, più giovani, si erano conosciuti.
L'aneddoto lo rappresentò il traffico: avevano affittato un' automobile e, a parte la difficoltà della guida a sinistra, come in Inghilterra, il totale disprezzo della maggior
parte dei guidatori maltesi per le regole del traffico ricordava loro gli ingorghi e la confusione delle strade di Napoli.
“E poi si lamentano che noi non sappiamo guidare!”
“Normale! Nel traffico cittadino, la colpa è sempre degli altri!”
“È che sono mediterranei, come noi...Ribelli, indisciplinati ed un po' menefreghisti.”
“Parla per te! IO non sono mediterranea!”
“Ah, già! Lo dimenticavo...”
Risero entrambi.
Sesto San Giovanni, ottobre 1987
“Un'altra giornata di smog...- si lamentò Ornella - Mi sento soffocata! E siamo appena in autunno! Ma come fa a vivere, la gente, qui?”
“E tu che credi? Che questa gente, come la chiami tu, vive? Secondo te, perché Milano è la città più industrializzata d'Italia? Perché la gente, se non dovesse lavorare fino a scoppiare, scoppierebbe per il clima, ahahah! Fai il paragone con Napoli, e capirai cosa voglio dire.”
“Si, e ricordo la canzone che dice ma co' 'stu sole, 'stu sole cuciente, ma chi vo' fa' niente, ma chi po' ffa' niente! (ma con questo sole, questo sole che scotta, chi vuole fare niente, chi può fare niente)”
“Pensa che mancano ancora solo otto mesi per tornare a Vico Equense: è quasi come una gestazione, ed il parto ci regalerà un mese di sole, mare e spiaggia.”
“Meritatissimi, direi io...”
“Sicuramente.”
Avevano seguito il consiglio di Roberto, ed avevano comprato, ad un prezzo ragionevole, un monolocale a pochi passi dalle spiaggia di Vico. L'estate prossima sarebbe stata la prima estate che avrebbero passato le ferie al mare a casa loro.
Vico Equense, Agosto 1990
“Hai già pensato a cosa farai dopo il liceo?” chiese Anna.
Anna e Luca stavano seduti sulla spiaggia. Luca ed Anna si erano visti tutte le estati degli ultimi tre anni e, come già aveva intuito Ornella tre anni prima, l'amicizia dei due ragazzi si era trasformata in qualcosa di molto più profondo.
“No, non lo so ancora. E poi, mancano ancora due anni. Sono indeciso, sicuramente un'ingegneria, ma non so se prenderò ingegneria chimica per sfruttare un po' l'esperienza di papà, o ingegneria elettronica, in vista di quello che sembra essere il futuro della tecnologia. E tu, cosa pensi di fare?”
“Io? Guarda, tirerò un sospirone di sollievo quando finisco il liceo artistico, e brucerò metaforicamente i libri. Lo so, potrei fare le Belle Arti a Napoli, ma, sinceramente, non ne ho nessuna voglia. Cercherò un lavoro, magari come insegnante. O mi metterò a dipingere e venderò paesaggi della Costiera sotto la statua di Torquato Tasso a Sorrento!”
Risero tutti e due e, quando Luca le passò un braccio intorno alle spalle, Anna gli si strinse vicino. Il primo bacio fu lungo ed appassionato, come se entrambi avessero
atteso da anni quel momento, e si fossero ritrovati adulti senza nemmeno accorgersene.
Napoli, 31 dicembre 1993
Avevano ripreso una vecchia tradizione di quando ancora erano tutti e tre studenti di liceo: si erano riuniti nella casa di Roberto che, dalla sua privilegiata posizione sull'alto della collina, dominava, dalle ampie balconate del salone, tutto il golfo, con l'azzurra sagoma del Vesuvio sul fondo, ed aspettavano la mezzanotte.
Anna e Luca erano usciti per andare a festeggiare l'anno nuovo in un locale alla moda, le donne discorrevano delle solite cose sedute nell'ampio divano, mentre i ragazzi giocavano a tombola nell'ampia cucina sul retro della casa.I tre amici giocavano l'inevitabile e tradizionale partitella a tressette col morto: Roberto con Paolo contro Alex ed il morto.
Se il poker è il gioco del silenzio e dell'impenetrabilità dei giocatori, il tressette non sarebbe tanto divertente com'è senza i continui commenti e le piccole discussioni tra i giocatori.
“Ma che cavolo, Robé.! - sbottò Paolo – Ma come diavolo giochi! Io ho sfidato a spade, e se lo ho fatto vuol ben dire qualcosa, no? E tu mi lisci con un sei?”
“E tu sei sordo o che? Ho appena dichiarato che ho fatto piombo (non ho più carte) a
questo palo!”
“Forza, forza...- si intromise Gianni - che siete due scamorze tutti e due, ahahah!”
“È che questo - brontolò Paolo indicando Roberto - gioca lui solo. Non sa che il tressette è un gioco di squadra...”
Arrivò finalmente la mezzanotte, e Napoli intera scoppiò in una fantasmagoria di luci, colori ed esplosioni. Da ogni balcone, da ogni finestra, si accendevano bengala, si sparavano razzi e tracche, e si tiravano alla strada oggetti vecchi o semplicemente inutilizzabili. Lo spettacolo, dalle balconate di Roberto, era impressionante: Napoli brillava come di giorno, mentre un densa nube di fumo grigiastro si stava formando ed aleggiava, come sospesa a mezz'aria, sulla città.
I tre amici stapparono un paio di bottiglie di Don Perignon e brindarono con le ragazze ed i figli, con la solenne promessa di ritrovarsi ancora a capodanno dell'anno venturo e di tutti gli anni venturi, mantenendo viva quell'amicizia sincera e profonda che li aveva uniti da ragazzi.
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